Quello che mangiamo influenza l’umore

Oggi la scienza conferma che il nostro modo di alimentarci ha un’influenza sull’umore. Ce lo spiega molto bene Francesco Bottaccioli in un paragrafo del suo manuale di psiconeuroendocrinoimmunologia che andrò a sintetizzare per noi comuni mortali 🙂.

Carboidrati, proteine e serotonina

Oggi possiamo affermare che la composizione di un pasto, cioè il fatto che comprenda più carboidrati o proteine influisce sulla quantità di un aminoacido chiamato triptofano, che serve a produrre la serotonina (il neurotrasmettitore del buonumore) nel cervello.

Già diversi anni fa si confermava che la serotonina presente nel cervello dipende dalla disponibilità di triptofano e che quest’ultimo arriva maggiormente al cervello se il pasto è ricco di carboidrati e povero di proteine.

Preciso che stiamo parlando di triptofano che arriva nel cervello, perché i suoi livelli in altre parti del corpo potrebbero salire anche con un pasto prevalentemente proteico o misto.

Ciò che impedisce al triptofano di giungere al cervello se il pasto è prevalentemente proteico è la maggiore presenza di altri aminoacidi detti “neutri a larga molecola” come la tirosina, valina e metionina. Praticamente succede che se questi sono in maggioranza il triptofano non oltrepassa la barriera ematoencefalica.

Quello che si è visto è che se il pasto è più ricco di carboidrati e dunque aumenta la presenza di insulina il numero di questi  aminoacidi che compete con il triptofano diminuisce.

Ovviamente questo non vuol dire eccedere con la quantità di carboidrati perché si avrebbe l’effetto contrario, cioè un rintontimento dovuto alla minore capacità di utilizzare il glucosio.

Come al solito è una questione di equilibrio!

Inoltre viene precisato che con carboidrati non si intende solo pasta e dolci ma anche verdura e frutta che essendo ricchi di acido folico, hanno un effetto benefico sull’umore, poiché l’acido folico serve a produrre un antidepressivo endogeno: s-adenolis-metionina.

E voi avete notato l’effetto del cibo sul vostro umore? Scrivetemelo nei commenti.

Per costruire un’alimentazione bilanciata è sempre meglio rivolgersi a un professionista.

Bibliografia.

F. Bottaccioli, 2005, Psiconeuroendocrinoimmunologia, red.

 

 (Foto di un mio pancake)

Il contatto fisico

La psicoterapeuta statunitense Virginia Satir diceva: “Ci servono 4 abbracci al giorno per sopravvivere. Ci servono 8 abbracci al giorno per mantenerci in salute. Ci servono 12 abbracci al giorno per crescere”.

La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo che occupa due metri quadri della nostra superficie, il 70% della circolazione sanguigna e la quasi totalità delle terminazioni nervose.
La superficie della pelle possiede un numero enorme di recettori sensoriali che ricevono gli stimoli del caldo, del freddo, del dolore e del piacere; si ritiene che ogni cm quadrato di pelle contenga fino a 5.000 recettori, nelle mani e nelle dita il numero di recettori è di gran lunga superiore.
Come tutti gli altri sensi, se non è sufficientemente stimolato, perde di sensibilità. Più una pelle è accarezzata, più diventa sensibile e recettiva. Alcuni autori la considerano un contenitore psichico oltre che biologico, che si articola in due livelli: uno più esterno, duro e rigido rivolto verso il mondo esterno che fa da schermo agli stimoli e uno più interno, sottile e sensibile con una funzione ricettiva.
La pelle diventa nello stesso tempo pellicola e interfaccia, protezione e scambio. Anche Freud ha specificato: “l’Io deriva da sensazioni corporee, soprattutto da quelle che provengono dalla superficie del corpo” (1923).
Pensate che tale considerazione trova una conferma embriogenetica (lo so, è un nome complicato!), visto che il sistema nervoso è una derivazione del primitivo foglietto germinativo dell’ectoderma (anche io l’ho dovuto rileggere più volte!!). Insomma tante parolone per dire semplicemente che il contatto fisico è imprescindibile per il buon funzionamento psichico e per percepire la sensazione di esserci ed esistere in questa vita, ora.

Parlare di emozioni o viverle?

Esiste una tendenza a evitare le emozioni, sì, se ne può parlare, ma si fa in un modo meccanico, intellettuale, “non incarnato”, appunto se ne parla per non viverle sulla pelle.

Il processo emotivo parte dal corpo, nel senso che emerge attraverso micro e macro movimenti, i sensi, l’energia.

Infatti le emozioni sono energia che dovrebbe attivare un movimento.

Il problema è la rigidità, cioè quando la persona (inconsapevolmente) struttura dei modi per “tenere a bada” queste emozioni, così a bada da non riconoscere nemmeno cosa certe situazioni suscitano dentro sé.

Gli adattamenti creativi possono essere molto efficaci e permettono di andare avanti nella vita misconoscendo la propria sfera emotiva.

Accade però che l’anima, costipata di emozione come direbbe Annette Goodheart, si faccia sentire attraverso il corpo, organizzando sintomi o addirittura patologie.

Anche in psicoterapia la risata può diventare uno strumento che permette il contatto col proprio mondo emotivo quando all’interno dell’organismo si è costipato qualcosa.

Quando il campo esprime depressione, la proposta della risata è un paradosso inizialmente sconcertante.

Sì o no.

La libertà, anche se momentanea, si gioca in una scelta, e in un barlume di coraggio: occhi lucidi che si incontrano, neuroni a specchio che sparano e un momentaneo spiraglio di luce condiviso.

Ringrazio per la Foto © Milú Babayaga

Sessualità? No, grazie.

Lavorando con le persone mi rendo conto di quanto sia difficile affrontare il tema della sessualità, quando ci si avvicina a quel tema lì, inizia a sentirsi un’atmosfera di crisi e il campo, come direbbe Carmen Vàzquez Bandìn, inizia a riempirsi di vergogna.

Capita che le donne non sappiano tanto del loro corpo e alla parola masturbazione, frequentemente, fuoriesca un urlo simile a quello di Munch.

Capita che gli uomini si trascinino la credenza dell’uomo che non deve chiedere mai e che l’ansia della prestazione sia peggio di un incontro sportivo agonistico.

Energia sessuale e sessualità sono spesso confuse con la reificazione del sesso propinata dalla televisione o servita a buon mercato da internet.

Ma cos’è in fin dei conti questa energia sessuale?

L’energia sessuale è la più grande energia che abbiamo a disposizione, è un’energia di vita che non è finalizzata esclusivamente all’atto sessuale e alla procreazione ma è una forza che ci permette di muoverci in questa vita e di dare vita (permettetemi la ripetizione) a varie espressioni come l’insight, il problem solving e la creatività, riferita non tanto alla creazione finale, ma all’atto del creare, che riflette il divino; continuamente siamo immersi in questo processo creativo: creiamo relazioni, creiamo nuovi modi nella quotidianità, creiamo oggetti, progetti, creiamo soluzioni e così via e lo facciamo ogni giorno.

Conoscere questa grande energia, accoglierla e imparare a gestirla è imprescindibile per vivere serenamente, dal momento che questa energia subisce delle variazioni, è ciclica e sopratutto viaggia nei nostri centri energetici, dai più bassi localizzati nella zona dell’inguine e del ventre ai più alti, nel cuore e nella testa. Comprenderla e integrarla vuol dire anche fare in modo che non sia una forza cieca che comportandosi da impulso, ci trasformi in semplici “macchine da combattimento”.

Ma non è salutare nemmeno anestetizzarla o fare finta che non esista, come spesso capita nelle femmine, alimentando un senso di impurità di disapprovazione nei propri confronti, perché nessuno ci ha insegnato qualcosa al suo riguardo o perché nelle famiglie di appartenenza ci si è trascinati un tabù intergenerazionale.

Allora ripropongo il concetto di respons-abilità, ossia l’abilità a rispondere della nostra persona, il dovere necessario di ascoltarsi e imparare a conoscersi, mi riferisco sopratutto all’ascolto del proprio corpo come strumento musicale che suona le melodie dell’anima, e che ci racconta continuamente cosa succede dentro di noi.

Solo con l’ascolto del corpo si può fare un passo per avvicinarsi a quella grande energia che ci muove, capace di creare la vita.

Il Lavoro su di sé, tra Psicoterapia della Gestalt e Alchimia.

Mi piace leggere e studiare per crescere, per evolvermi e per ampliare la mia visione del mondo e condividerla con le persone che mi scelgono come professionista. Anzi, mi sento molto vicina a Elio Occhipinti quando afferma che è una grossa lacuna il fatto che la spiritualità non rientri nella formazione dello psicologo. In queste riflessioni riprendo alcuni spunti riguardanti la terapia della Gestalt (approccio psicoterapeutico fondato da Frederick S. Perls nel 1942 che ha l’obiettivo di promuovere il processo di crescita e sviluppare il potenziale umano) e il lavoro alchemico come via spirituale e li integro, perché portatori del medesimo senso, e i sensi, ricordo, richiamano alla Vita.

Il Sé nella psicoterapia della Gestalt non è un’entità rigida e immutabile, viene descritto come un processo dinamico nel campo organismo-ambiente, e la sua costante intenzione è il contatto. Esso ha tre funzioni o come dice Carmen Vasquez Bandin permette tre velocità: l’Es, l’Io e la Personalità.

L’Es comprende i bisogni fisiologici, le sensazioni, è ciò che esiste e può essere percepito, è ciò che si sente col proprio corpo, ossia il ground psicosomatico.

L’Io è la parte intenzionale del sé, è la scelta che dirige il contatto e il ritiro, risponde alla domanda “cosa voglio?” dice “sì o no”, è il responsabile dell’adattamento creativo.

La Personalità rappresenta il sacchetto delle esperienze assimilate, cioè la rappresentazione che la persona ha di se stessa e che costituisce il ground sociale, risponde alle domande “Chi sono? Cosa sono diventato?”

Il sé è costituito da tanti self quante sono le esperienze che l’individuo ha fatto nella sua vita, ogni self riunisce grappoli di esperienze in un’entità a cui può essere dato un nome, si parla di multipolarità del Sé per descriverne le sue variopinte sfaccettature. Spesso proprio alcune di queste sfaccettature vengono rifiutate dall’individuo che non riconoscendole su di sé, le proietta sugli altri. Le polarità sono due caratteristiche dell’individuo opposte, come l’essere diabolici o angelici, piccoli o grandi – oppure due direzioni opposte, come restare o andarsene, parlare o stare zitti. (E. Polster, 1986)

Le polarità possono confondere l’individuo e spingerlo all’ambivalenza che egli può cercare di risoluzionare disfunzionalmente attraverso l’annullamento di una delle parti che in ogni caso continua comunque a esistere a volte sabotando con il senso di colpa, l’apatia, l’abulia, la mancanza di energia e di allegria e altre manovre di auto-frustrazione (E. Polster, 1986).

Il Dott. Martinez afferma che tutto ciò che si nega viene proiettato sugli altri e il lavoro di integrazione delle polarità consiste nell’andare agli estremi, amplificarli e sentirsi degni all’interno di ogni caratteristica o self, che sia cappuccetto rosso o il lupo.

Perls, Hefferline, Goodman in Teoria e pratica della terapia della Gestalt (1994) scrivono: “Dicendo proiezione, vogliamo intendere tutte le manifestazioni del vostro comportamento (caratteristiche, atteggiamenti, sentimenti, ecc.) che, pur appartenendo per intero alla vostra personalità reale, non vengono mai sperimentate come tali; esse vengono anzi attribuite agli oggetti o alle persone che fanno parte dell’ambiente, e poi sperimentate come qualcosa che viene diretto da parte loro verso di voi, piuttosto che viceversa.”

Quando si lavora con le polarità l’obiettivo è dunque ripristinare il contatto tra le forze opposte, in modo che possano allearsi nella costruzione di una vita di qualità invece di sentirsi conflittuali antagoniste. L’alleanza produce sempre delle piacevoli sorprese per l’individuo in termini di ricchezza della personalità. Può darsi che inizialmente la parte messa a tacere emerga in maniera preponderante, col tempo un’unione più equilibrata si delineerà perché la fede nell’auto-regolazione dell’organismo che caratterizza la psicoterapia della gestalt, fa in modo che se le due parti potranno ricevere ascolto, nessuna delle due cercherà di stabilire una dittatura sull’altra.

In Alchimia si fa riferimento alla legge dello specchio. Con il termine Alchimia mi riferisco a una serie di concetti e strumenti che hanno come obiettivo la trasmutazione del Piombo in Oro, dunque la riscoperta della propria bellezza al di là delle illusioni. Cito a proprosito la definizione di Andrea Zurlini (2014): “L’alchimista è quella persona che ha scelto di rialzarsi e combattere -a modo suo- contro il dolore della schiavitù dell’illusione umana. Ha scelto di ritrovare la luce al proprio interno e non cercarla da altre parti o in altre persone. Ha capito sopratutto una cosa fondamentale: che non bisogna aggiungere niente a quello che siamo, poiché siamo già tutto quello che stiamo cercando e che è pronto a manifestarsi per quel che è.”

Alla luce di queste definizioni intendo la psicoterapia come un percorso alchemico che permette di riprendersi la respons-abilità di esser-ci in questa vita e il lavoro su di sé è il più grande impegno che possiamo prenderci per vivere in Pace.

La legge dello specchio afferma che possiamo imparare a conoscere meglio noi stessi utilizzando la realtà esteriore (cfr. Salvatore Brizzi, 2008), nel senso che ogni volta che ci colpisce qualcosa all’esterno è perché ce l’abbiamo anche noi, dentro!

Non essere così triste e pensieroso, ricorda che la vita è come uno specchio, ti sorride se la guardi sorridendo. ( J. Morrison)

Dunque possiamo senz’altro continuare a vivere essendo preda degli eventi, comportandoci come una foglia continuamente gestita dal vento. Oppure possiamo iniziare a farci qualche domanda sul come riappropriarci del nostro potere personale.

Uno dei primissimi passi è fermarsi e connettersi (parola tanto amata in questo tempo) a se stessi, al proprio corpo che sente; osservare ciò che accade nella propria vita, ora, cosa sta accadendo nella tua vita?

Perls, il fondatore della terapia della Gestalt, afferma che esistono tre livelli di consapevolezza: la consapevolezza del sé, la consapevolezza del mondo, la consapevolezza di quel che c’è in mezzo, cioè della zona intermedia della fantasia (aggiungo illusione) che impedisce il vero contatto con ciò che si è e con il mondo. In uno dei sui testi (1980) scrive: “Questa perdita di contatto col nostro sé autentico, nonché la perdita di contatto col mondo, sono dovute a questa zona intermedia, all’ampia porzione di maya che noi ci portiamo dentro. Esiste cioè un’ampia zona di attività di fantasia che assorbe tanta della nostra eccitazione, tante delle nostre energie, tanta della nostra forza vitale, che ben poca energia ci resta per essere in contatto con la realtà.”

Lo scopo della terapia della Gestalt è la crescita, permettere che la mente lasci sempre più spazio ai sensi, per essere più in contatto con se stessi, con il mondo, invece che con le proprie fantasie, con i propri pregiudizi, con le proprie apprensioni e così via.

In questo senso l’altro può diventare un “alleato per la crescita” considerando che ogni persona che arriva nella propria vita ci mostra una parte di noi, soprattutto quelle che ti mettono in difficoltà.

Ogni qualvolta ci si ritrova faccia a faccia con una persona che ci mette in difficoltà possiamo ri-cor-dare che si sta verificando un’occasione per crescere, e di conseguenza si può scegliere un altro modo di filtrare e interpretare l’evento, prima di re-agire mossi dal rapimento emotivo.

Tutto questo è sicuramente difficile, ma è l’unica via per riaquisire potere personale.

Il punto è scegliere di lavorare su di sé, e qui mi piace sfatare il mito che dallo psicoterapeuta ci debba andare esclusivamente chi ha una patologia, semplicemente ci va anche chi vuole avere più potere personale e crescere. D’altra parte lo stesso Perls dichiarava: “il mio metodo è troppo buono per riservarlo unicamente ai malati”.

Buon lavoro personale a chi ha il coraggio! Grazie!

 

Riferimenti bibliografici

Bandìn V. C. (2014). Cercando le parole da dire. Riflessioni sulla teoria e la pratica della Terapia della Gestalt. A cura di Roberta Melis, Se.F.a.P. Libri, Roma.

Brizzi S. (2008). Officina Alkemica. L’Alchimia come Via per la felicità incondizionata. Anima s.r.l., Milano.

Ginger S., Ginger A. (2004). La Gestalt, terapia del con-tatto emotivo. Edizioni mediterranee, Roma.

Perls F., Hefferline H.F., Goodman P. (1997). Teoria e pratica della terapia della gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana. Astrolabio, Roma.

Perls F. (1980). La terapia gestaltica parola per parola. Astrolabio, Roma.

Polster E., Polster M. (1986). Terapia della gestalt integrata. Giuffrè editore, Milano.

Salonia G. (2017). Danza delle sedie e danza dei pronomi. Terapia Gestaltica Familiare. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani.

Zurlini A. (2014). Alchimisti della nuova generazione. Evolvere nella gioia. Anima edizioni, Milano.