OUTING

Ho trascorso quasi un’ora sopra questo arco ( S’ Archittu) insieme a un amico. Volevo provare a tuffarmi come facevano gli altri.

E a sfidare la mia paura.

Ho trascorso tutto questo tempo ascoltando il battito che ha iniziato a vibrarmi nella gola, guardando giù.

Cercavo le parole giuste, la formula convincente, nel dialogo con chi era in quel momento il mio compagno d’avventura che a un certo punto, mentre io ero persa nella mia ossessione amletica, se lanciarmi o meno, e sui potenziali effetti catastrofici, mi dice: “hai prezzemolo nei denti”.

E in quel momento, conscia della fregola con arselle del pranzo, mi sono anche preoccupata che mi aiutasse a levarmi il verde dai denti prima della grande impresa.

Le persone sotto che attraversavano le acque in canoa cercavano di incoraggiarmi col telefonino in mano, promettendomi di immortale il mio coraggio.

Ma niente! Non sono servite le parole, la mano tenuta, gli sguardi colmi di affetto e le risate.

Volevo dimostrare di riuscirci, ma lui saggio, mi ammonisce dicendo che stavo facendomi guidare dall’ego e ce ne saremmo dovuti andare.

Alla fine ci ho rinunciato, lui si è lanciato e poco dopo ecco la frase della me bambina, uscita bypassando non so come la mia coscienza: “ma ora che non mi sono tuffata, mi vuoi meno bene?”.

La bambina ferita (declinatevelo voi al maschile) è dentro di noi, ci accompagnerà per tutta la vita, e necessita di grande amore tutte le volte che si desta per richiamare la nostra attenzione, quando ci sentiamo più vulnerabili.

A cosa serve il lavoro su di sé?

Ad amarla profondamente e a smetterla di giudicare la nostra fragilità.

Allora che ho fatto?

Ho raccontato al mio amico di quando da piccola, per rendere il mio papà fiero di me, sfidavo la paura facendo i tuffi.

Ma ora non sono più piccola.

E non devo dimostrare niente.

Buon amore.

Quello che mangiamo influenza l’umore

Oggi la scienza conferma che il nostro modo di alimentarci ha un’influenza sull’umore. Ce lo spiega molto bene Francesco Bottaccioli in un paragrafo del suo manuale di psiconeuroendocrinoimmunologia che andrò a sintetizzare per noi comuni mortali 🙂.

Carboidrati, proteine e serotonina

Oggi possiamo affermare che la composizione di un pasto, cioè il fatto che comprenda più carboidrati o proteine influisce sulla quantità di un aminoacido chiamato triptofano, che serve a produrre la serotonina (il neurotrasmettitore del buonumore) nel cervello.

Già diversi anni fa si confermava che la serotonina presente nel cervello dipende dalla disponibilità di triptofano e che quest’ultimo arriva maggiormente al cervello se il pasto è ricco di carboidrati e povero di proteine.

Preciso che stiamo parlando di triptofano che arriva nel cervello, perché i suoi livelli in altre parti del corpo potrebbero salire anche con un pasto prevalentemente proteico o misto.

Ciò che impedisce al triptofano di giungere al cervello se il pasto è prevalentemente proteico è la maggiore presenza di altri aminoacidi detti “neutri a larga molecola” come la tirosina, valina e metionina. Praticamente succede che se questi sono in maggioranza il triptofano non oltrepassa la barriera ematoencefalica.

Quello che si è visto è che se il pasto è più ricco di carboidrati e dunque aumenta la presenza di insulina il numero di questi  aminoacidi che compete con il triptofano diminuisce.

Ovviamente questo non vuol dire eccedere con la quantità di carboidrati perché si avrebbe l’effetto contrario, cioè un rintontimento dovuto alla minore capacità di utilizzare il glucosio.

Come al solito è una questione di equilibrio!

Inoltre viene precisato che con carboidrati non si intende solo pasta e dolci ma anche verdura e frutta che essendo ricchi di acido folico, hanno un effetto benefico sull’umore, poiché l’acido folico serve a produrre un antidepressivo endogeno: s-adenolis-metionina.

E voi avete notato l’effetto del cibo sul vostro umore? Scrivetemelo nei commenti.

Per costruire un’alimentazione bilanciata è sempre meglio rivolgersi a un professionista.

Bibliografia.

F. Bottaccioli, 2005, Psiconeuroendocrinoimmunologia, red.

 

 (Foto di un mio pancake)

Il contatto fisico

La psicoterapeuta statunitense Virginia Satir diceva: “Ci servono 4 abbracci al giorno per sopravvivere. Ci servono 8 abbracci al giorno per mantenerci in salute. Ci servono 12 abbracci al giorno per crescere”.

La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo che occupa due metri quadri della nostra superficie, il 70% della circolazione sanguigna e la quasi totalità delle terminazioni nervose.
La superficie della pelle possiede un numero enorme di recettori sensoriali che ricevono gli stimoli del caldo, del freddo, del dolore e del piacere; si ritiene che ogni cm quadrato di pelle contenga fino a 5.000 recettori, nelle mani e nelle dita il numero di recettori è di gran lunga superiore.
Come tutti gli altri sensi, se non è sufficientemente stimolato, perde di sensibilità. Più una pelle è accarezzata, più diventa sensibile e recettiva. Alcuni autori la considerano un contenitore psichico oltre che biologico, che si articola in due livelli: uno più esterno, duro e rigido rivolto verso il mondo esterno che fa da schermo agli stimoli e uno più interno, sottile e sensibile con una funzione ricettiva.
La pelle diventa nello stesso tempo pellicola e interfaccia, protezione e scambio. Anche Freud ha specificato: “l’Io deriva da sensazioni corporee, soprattutto da quelle che provengono dalla superficie del corpo” (1923).
Pensate che tale considerazione trova una conferma embriogenetica (lo so, è un nome complicato!), visto che il sistema nervoso è una derivazione del primitivo foglietto germinativo dell’ectoderma (anche io l’ho dovuto rileggere più volte!!). Insomma tante parolone per dire semplicemente che il contatto fisico è imprescindibile per il buon funzionamento psichico e per percepire la sensazione di esserci ed esistere in questa vita, ora.

Parlare di emozioni o viverle?

Esiste una tendenza a evitare le emozioni, sì, se ne può parlare, ma si fa in un modo meccanico, intellettuale, “non incarnato”, appunto se ne parla per non viverle sulla pelle.

Il processo emotivo parte dal corpo, nel senso che emerge attraverso micro e macro movimenti, i sensi, l’energia.

Infatti le emozioni sono energia che dovrebbe attivare un movimento.

Il problema è la rigidità, cioè quando la persona (inconsapevolmente) struttura dei modi per “tenere a bada” queste emozioni, così a bada da non riconoscere nemmeno cosa certe situazioni suscitano dentro sé.

Gli adattamenti creativi possono essere molto efficaci e permettono di andare avanti nella vita misconoscendo la propria sfera emotiva.

Accade però che l’anima, costipata di emozione come direbbe Annette Goodheart, si faccia sentire attraverso il corpo, organizzando sintomi o addirittura patologie.

Anche in psicoterapia la risata può diventare uno strumento che permette il contatto col proprio mondo emotivo quando all’interno dell’organismo si è costipato qualcosa.

Quando il campo esprime depressione, la proposta della risata è un paradosso inizialmente sconcertante.

Sì o no.

La libertà, anche se momentanea, si gioca in una scelta, e in un barlume di coraggio: occhi lucidi che si incontrano, neuroni a specchio che sparano e un momentaneo spiraglio di luce condiviso.

Ringrazio per la Foto © Milú Babayaga

Sessualità? No, grazie.

Lavorando con le persone mi rendo conto di quanto sia difficile affrontare il tema della sessualità, quando ci si avvicina a quel tema lì, inizia a sentirsi un’atmosfera di crisi e il campo, come direbbe Carmen Vàzquez Bandìn, inizia a riempirsi di vergogna.

Capita che le donne non sappiano tanto del loro corpo e alla parola masturbazione, frequentemente, fuoriesca un urlo simile a quello di Munch.

Capita che gli uomini si trascinino la credenza dell’uomo che non deve chiedere mai e che l’ansia della prestazione sia peggio di un incontro sportivo agonistico.

Energia sessuale e sessualità sono spesso confuse con la reificazione del sesso propinata dalla televisione o servita a buon mercato da internet.

Ma cos’è in fin dei conti questa energia sessuale?

L’energia sessuale è la più grande energia che abbiamo a disposizione, è un’energia di vita che non è finalizzata esclusivamente all’atto sessuale e alla procreazione ma è una forza che ci permette di muoverci in questa vita e di dare vita (permettetemi la ripetizione) a varie espressioni come l’insight, il problem solving e la creatività, riferita non tanto alla creazione finale, ma all’atto del creare, che riflette il divino; continuamente siamo immersi in questo processo creativo: creiamo relazioni, creiamo nuovi modi nella quotidianità, creiamo oggetti, progetti, creiamo soluzioni e così via e lo facciamo ogni giorno.

Conoscere questa grande energia, accoglierla e imparare a gestirla è imprescindibile per vivere serenamente, dal momento che questa energia subisce delle variazioni, è ciclica e sopratutto viaggia nei nostri centri energetici, dai più bassi localizzati nella zona dell’inguine e del ventre ai più alti, nel cuore e nella testa. Comprenderla e integrarla vuol dire anche fare in modo che non sia una forza cieca che comportandosi da impulso, ci trasformi in semplici “macchine da combattimento”.

Ma non è salutare nemmeno anestetizzarla o fare finta che non esista, come spesso capita nelle femmine, alimentando un senso di impurità di disapprovazione nei propri confronti, perché nessuno ci ha insegnato qualcosa al suo riguardo o perché nelle famiglie di appartenenza ci si è trascinati un tabù intergenerazionale.

Allora ripropongo il concetto di respons-abilità, ossia l’abilità a rispondere della nostra persona, il dovere necessario di ascoltarsi e imparare a conoscersi, mi riferisco sopratutto all’ascolto del proprio corpo come strumento musicale che suona le melodie dell’anima, e che ci racconta continuamente cosa succede dentro di noi.

Solo con l’ascolto del corpo si può fare un passo per avvicinarsi a quella grande energia che ci muove, capace di creare la vita.